Ultimamente un gruppo stretto di persone – dove ci sono pure io e alcuni dei miei amici – sta riuscendo ad andare a teatro almeno una o due volte alla settimana. Questo gruppo s’informa, si prenota, si organizza insomma. Hanno confrontato bene i programmi dei teatri, hanno condiviso i gusti, hanno messo in campo gli spettacoli degli amici e ogni volta alla fine di una giornata di lavoro, si fanno carini – più o meno – e vanno a teatro.
Facendo due conti veloci e tenendo conto che per la maggior parte questo gruppo è riuscito ad avere delle riduzioni e qualche omaggio occasionale, si spende a persona almeno una ventina d’euri, più la cena, più l’aperitivo che magari aiuta ad arrivare di buon umore e via dicendo.
Fin qui tutto bene. Piccoli sforzi che fatti insieme sembrano snellirsi.
Se non fosse che le riflessioni che le persone di questo gruppo fanno prima di entrare in sala sono: “Perchè non andiamo a casa mia e guardiamo un film sul divano?”, “Ho voglia di tutto tranne che di andare a teatro”, “Se non fosse che in scena c’è un mio amico non sarei venuto”, “Cinese?”, “Se mi addormento in sala è un problema?”, “Voglio le mie ciabatte, un film scaricato e i gatti attorno a me”, “Questi sono i momenti in cui vorrei mi chiamasse mia madre”.
Andare a teatro è diventato un lavoro. E giustamente nessuno ha voglia di lavorare dopo le nove di sera.